Una road map per il 2030. Per disegnare il nuovo ruolo dell’umanità in un mondo di macchine. Con la plenaria sulle “Professioni del futuro” condotta da Massimo Temporelli, il Salone dei Pagamenti affronta il tema del cambiamento e dell’innovazione con un think tank che mette in discussione luoghi comuni e conoscenze acquisite. E chiama i 16enni di oggi a essere protagonisti del futuro. A partire anche da un nuovo approccio all’educazione finanziaria come «strumento di cittadinanza attiva»

di Mattia Schieppati

In tre ore e sei interventi, un salto nel 2030. È quella la data convenzionale, lontana ma tremendamente vicina, nella quale gli oltre 400 ragazzi presenti nella grande sala Silver, che ha ospitato la sessione plenaria della seconda giornata del Salone dei Pagamenti, saranno a tutti gli effetti la generazione adulta. Ovvero, avranno in mano le leve di quello che, visto oggi e da qui, è il futuro.

Un momento di riflessione alto e particolare quello che il Salone dei Pagamenti ha voluto proporre con questa sessione, dal titolo Le professioni del futuro. Perché è stato un concentrato di idee e di ragionamenti profondamente “disruptive”, parola molto in voga in quest’epoca di cambiamento accelerato, con relatori sul palco che, senza troppi timori reverenziali, hanno dipinto uno scenario futuro “spietato”, che viaggia e viaggerà su logiche che gli adulti (e, come loro, tante imprese ormai adulte) faranno fatica o saranno impossibilitati a comprendere. Altro che professioni del futuro! Quello che qui si è andato tratteggiando è – a tutto tondo – la persona del futuro. Un soggetto antropologico nuovo, che si troverà ad approcciare in maniera totalmente nuova temi come il lavoro, il possesso di beni e va da sé – il denaro e i pagamenti.

I relatori, le “teste” che si sono confrontante in questo agone, sono stati Massimo Temporelli, presidente di The FabLab, moderatore della mattinata; Miro Fiordi, Presidente del Comitato tecnico per i servizi di pagamento e di regolamento ABI e Presidente di Creval; Dani Schaumann, Direzione internazionale – Global Country Advisor di Intesa Sanpaolo; Savino Damico, Direzione Ricerca, accelerazione e innovazione di Intesa Sanpaolo;

Pierangelo Dacrema, professore degli Intermediari finanziari all’Università della Calabria; Oscar di Montigny, Direttore Marketing, comunicazione e innovazione di Banca Mediolanum

E se anche sono tra loro persone molto diverse per provenienza, per ruolo, per professione, quello che è emerso dalla mattinata è quasi un discorso corale, che proviamo qui a riassumere in 4 parole chiave. Le parole del futuro. 

1. Conoscenza

Niente ricette precostituite, nessun curriculum di studi o professionale può, oggi, avere la pretesa di tracciare una strada sicura verso il futuro. Una cosa è però certa: in un futuro dove saranno sostanzialmente le macchine a muovere il mondo (di sicuro, il mondo delle professioni), lo specifico umano sarà la conoscenza. Non l’educazione fatta di nozioni, ma la conoscenza in senso ampio, allargato, olistico. Un ritorno alle radici dello specifico umano. Una conoscenza che parte oggi dalla consapevolezza che tutto sta cambiando e tutto sarà diverso, e quindi conoscenza che è apertura mentale, il tornare a interrogarsi sul “perché” anziché sul come, perché al “come” ci penseranno le macchine. Dice Di Montigny: «Come individui, come professionisti, non dobbiamo più chiederci come fare i soldi, ma perché fare i soldi. Come imprenditori o come manager non dovremo più porci lo scopo di costruire la più grande azienda DEL mondo, ma la più grande azienda PER il mondo»

In questo senso, «l’errore non sarà più un qualcosa da stigmatizzare, ma l’errore diventa un meccanismo di esperienza, e quindi di conoscenza», dice Schaumann, portando l’esempio delle dinamiche che muovono il vivacissimo hub fintech in cui Intesa Sanpaolo è impegnata in Israele, paese ad alto grado di innovazione. Riportando tutto questo al tema del Salone, Miro Fiordi sottolinea come il settore dei pagamenti e dei sistemi di pagamento è e sarà sempre più un anello fondamentale dell’innovazione, e per questo «l’educazione finanziaria è un tassello fondamentale, affinché la competenza diventi conoscenza. Perché solo se in possesso di una corretta educazione finanziaria i giovani saranno oggi e domani dei cittadini a pieno titolo, cittadini attivi, capaci di fare scelte più equilibrate e informate. Oltre a essere protagonisti di un meccanismo importante di solidarietà sociale: solo se conosco posso aiutare chi non conosce, e quindi è più fragile, esposto a più rischi».

2. Moneta

L’economia, lo scambio, il pagamento, e quindi – almeno dal VII secolo a.C. a oggi, la moneta – sono stati e sono tutt’ora uno strumento fondamentale dell’aggregazione e del processo sociale. E quindi, qualsiasi sia domani il futuro, e qualsiasi forma prenderà l’economia, il ragionare su quali saranno i sistemi di pagamento del futuro (e del presente) è decisivo per capire le logiche lungo le quali questo futuro prenderà forma. Questo periodo di “rottura” accelerata serve innanzitutto a questo: a tornare a riflettere su quel che è il denaro, su che cosa significa la transazione, con la premessa che il meccanismo dello scambio c’è dall’alba dell’umanità, e ci sarà per sempre, mentre il fatto che questi scambi vengano “certificati” dalla moneta è un fatto passeggero.

Questo è un presupposto importante per lasciarsi alle spalle le abitudini, le tradizioni, i meccanismi acquisiti, fare tabula rasa e ripartire davvero guardando al futuro. «Occuparsi di soldi è un’attività di pensiero, non di finanza», dice Temporelli. «La moneta non è il motore della storia, è la ruota su cui oggi si muove il mondo dell’economia», dice il professor Pierangelo Dacrema. «Le banche sono i cuscinetti a sfera che oggi consentono a questa ruota di girare, sono un ammennicolo della moneta. Sono evidenti due cose: primo, se la ruota si è messa a girare a una velocità cento volte più rapida che nel passato, allora servono cuscinetti cento volte più fluidi, altrimenti la ruota si blocca o i cuscinetti vengono triturati. Secondo, la moneta, in quanto elemento storico, non deve per forza essere eterna. Se, come oggi accade, la moneta nella sua concezione classica diventa un freno e non un abilitatore dell’economia, è segno che bisogna passare oltre». Se banche e gestori di sistemi di pagamento comprendono questa logica, ecco che il futuro, la dematerializzazione, la digitalizzazione non sono più avversari da temere, ma la normale evoluzione del proprio ruolo. «La rivoluzione digitale ha fatto cadere molte barriere tra settori, tra professioni», spiega Savino D’Amico: «Prendiamo la blockchain, per esempio. Per le banche non è un argomento importante solo per quel che riguarda le criptovalute o i sistemi di pagamento. È un tema chiave perché è una tecnologia cross-industry, riguarda le banche ma soprattutto tutti quei comparti economici con cui le banche dialogano, che sono clienti delle banche». 

3. Generazioni

I Millennials, inseguiti e schedati dal mondo del business di oggi, sono ormai già quasi il passato. La Google generation, i nati dal 2010, è quella che avrà in mano le leve del futuro di cui oggi si va parlando. Questi bambini di oggi si troveranno a dover condurre un mondo che oggi si può solo immaginare, ma che partono da alcuni dati certi: una demografia in esplosione, un melting pot sociale e razziale senza precedenti, una carenza di risorse rispetto al livello di consumi, un equilibrio ambientale in default. Sfide non da poco. L’innovazione dovrà essere messa prima di tutto al servizio di questi temi epocali. «La mente umana è uno strumento pigro. È faticoso per un adulto rompere con se stesso, sforzarsi verso il futuro. Per questo, da sempre, il cambiamento, la rottura, l’innovazione è una prerogativa dei giovani. Se fai qualcosa a 25 anni, lo fai perché vuoi cambiare il mondo, non hai mezze misure», dice di Montigny.

4. Cambiamento

«Nessuno è a suo agio, oggi. Ed è giusto e normale che sia così. Lasciare la strada vecchia per la nuova è sempre stato difficile, per tutti. La paura fa parte del gioco dell’innovazione, ma non dobbiamo averne paura. L’innovazione non è una cosa nuova, un tema che affrontiamo oggi per la prima volta, siccome è arrivato il digitale. L’innovazione esiste da quando è nato l’uomo», rassicura Temporelli i giovani in sala. Soprattutto in un momento come questo, dove le certezze acquisite sono polverizzate, e nessuno può dire di sapere se «siamo in un’epoca di cambiamento, o in un cambio di epoca», sintetizza Di Montigny. Bisogna però avere la consapevolezza che il cambiamento è l’elemento naturale delle cose, e se anche il cambiamento in cui siamo immersi oggi ha un fattore velocità mai visto prima, e quindi mette in crisi la “lentezza” naturale con cui l’essere umano, la sua capacità di apprendimento, la sua cultura evolvono, è una situazione che non ci travolgerà. Porterà a un’evoluzione, di sicuro, che già riguarda nello specifico il sistema bancario-finanziario: «Le banche smetteranno di essere “solo” banche, e diventeranno delle paytech, piattaforme digitali aperte, dentro le quali i clienti navigheranno, coglieranno opportunità, faranno le proprie scelte d’acquisto e di consumo», dice Miro Fiordi. Ma soprattutto, sarà un’evoluzione antropologica delle persone. Che richiederà competenze nuove, oggi ancora embrionali, e le elenca Di Montigny: «Ai ragazzi di oggi sarà chiesto domani di essere 5 cose: dei data scientist, degli story tellers, degli “user experience designer”, dei behavioral psycologyst, dei community builder». Al di là degli inglesismi, si tratta di 5 attitudini assolutamente umane, scritte, se pur in diverse forme, nel nostro Dna da millenni.