È un
osservatore attento delle nuove tecnologie e della loro diffusione soprattutto
tra i giovani. Federico Ferrazza parla di Generazione X, Millennials e dell’uso
dei pagamenti digitali. E alla domanda sul Salone dei Pagamenti risponde: “È un
momento essenziale non solo di informazione ma soprattutto di ascolto”

Federico
Ferrazza è il direttore di Wired, versione italiana della rivista definita (da
Wikipedia) «La Bibbia di Internet», fondata negli Stati Uniti nel 1993 dal
giornalista Louis Rossetto e dal guru dell’informatica Nicholas Negroponte, direttore del famoso
laboratorio sull’innovazione del MIT (il Massachusetts Institute of Technology,
la più prestigiosa università tecnica del mondo). Insomma, una bella
responsabilità, anche perché negli anni la rivista, edita dalla Condé Nast, è
diventata uno dei punti di vista privilegiati sull’evoluzione delle tecnologie,
sulla loro diffusione nella società e soprattutto presso i giovani. Perché
parlando di app, di social network e di nuove tecnologie Wired, fatta da
giovani (Ferrazza ha 38 anni), riesce anche a parlare ai giovani e a sondarne
gli umori. Anche su un tema tutt’altro che secondario come l’utilizzo del
denaro e i pagamenti.

L’ABI a
novembre lancia il Salone dei Pagamenti. Il primo evento in Italia che cerca di
mettere insieme tutti gli attori del sistema dei pagamenti “no cash”, pubblico
compreso. Pensa possa essere una buona idea?

Non c’è
dubbio. Sono assolutamente convinto che se le banche vogliono riaffermare il
loro ruolo in questo campo debbano prima di tutto parlare col pubblico e capire
che cosa vogliono veramente le nuove generazioni. Il Salone può essere un
momento essenziale non solo di informazione ma soprattutto di ascolto. E credo
ce ne sia tantissimo bisogno.

In Italia
siano stati superati i 100 milioni di carte di pagamento, vuol dire che anche
da noi si comincia a superare l’idea del contante?

«Francamente
non riesco a vedere in questo il superamento di una soglia psicologica», spiega
Ferrazza, «credo si tratti più di uno sviluppo lineare: certo, cresce la
diffusione delle carte perché si diffonde anche in Italia il mercato dei
pagamenti online, anche se meno che nel resto d’Europa. Dunque credo sia
fisiologico che cresca anche l’uso delle carte, ma non vedo un crollo dell’uso
del contante. La cartina di tornasole sono le file al casello al rientro dai
weekend estivi: centinaia di automobilisti per ore in coda per pagare con i
contanti quando basterebbe usare una carta per cavarsela in pochi minuti. È
evidente che ci sono ancora delle reticenze psicologiche e culturali, c’è
ancora uno spazio di crescita molto elevato per la dematerializzazione del
denaro».

C’è anche
un fattore generazionale in questa resistenza ad abbandonare il contante? Voi
vi rivolgete a pubblici di età diverse, Baby Boomer (oggi fra i 50 e i 60 anni)
ma anche esponenti della Generazione X (30 e 40 enni) e Millennials (nati negli
anni 90 e 2000). Notate differenze di atteggiamento psicologico?

Credo che
per i Millennial sia un po’ presto per dirlo, anche perché la disponibilità
economica non si è ancora affermata. Ma che ci sia una differenza fra Baby
Boomer e Generazione X è abbastanza evidente: i secondi, anche se non sono veri
e propri nativi digitali, hanno un potere d’acquisto che esercitano volentieri
attraverso i nuovi canali e una maggiore confidenza verso le carte di credito e
l’uso dei telefonini per i pagamenti, quando è già possibile. Strumenti come
Uber o Enjoy vivono esclusivamente sugli smartphone e sulle piattaforme di
pagamento che li accompagnano.  Questo non vuol dire che non ci siano
eccezioni o che si tratti di un fenomeno solo generazionale: ci sono anche
molto Baby Boomer che li utilizzano. C’è un altro discrimine che permette di
segmentare la popolazione in maniera più efficace rispetto alle fasce
generazionali: il luogo di residenza. Abitare in un piccolo centro o in una
grande città comporta una grossa differenza di infrastrutture tecnologiche e di
servizi disponibili. È chiaro che per chi sta in città e ha a disposizione la
banda ultralarga i pagamenti digitali sono molto più rapidi, più semplici e
appaiono più sicuri. Se vivo in una città dove la piattaforma di e-commerce mi
consegna quello che ordino entro 12 ore, fa una bella differenza rispetto ad
abitare in un posto isolato dove faccio fatica a connettermi e dove non so se
mi consegneranno rapidamente quello che ho comperato…

Quindi
cosa bisogna fare?

Ci sono
troppe regole incomprensibili, anche da parte delle istituzioni
pubbliche.  I media hanno fatto e fanno del terrorismo sui rischi di frodi
informatiche, continuando a ripetere “attenzione”, dipingendo le transazioni su
Internet come un posto pericoloso, come se i rischi di frode analogica fossero
inferiori. Invece sappiamo che non lo sono affatto.  Ci vorrebbe molta più
informazione sulla cyber sicurezza: l’impressione per chi guarda il fenomeno
dall’esterno è che il rischio sia aumentato. Ci vuole molta più chiarezza e
meno allarmismo da parte di tutti. E anche le banche potrebbero sottolineare di
più il ruolo che svolgono come buoni gestori delle transazioni in rete. Anche
perché nel frattempo la tecnologia non sta ferma, continua a evolvere…

Per
esempio con i bitcoin …

Che hanno un impatto molto curioso: molti vogliono sperimentare i
bitcoin perché li associano all’acquisto di beni illegali. Il fascino del
proibito! Il problema vero dei bitcoin, invece, a mio avviso è la volatilità
del valore che è scarsamente controllabile. Basti pensare che in seguito alla
Brexit nei primi tre giorni il bitcoin ha perso più della sterlina rispetto al
dollaro. Sono certo che il tema non vada sottovalutato, ma per adesso, al di là
della moda, lo vedo molto da addetti ai lavori. Fanno bene le banche a
investirci, non credo sia destinato a soppiantare le valute “reali” né a
sparire ma neppure a diventare un fenomeno di massa ad ampio raggio. A meno che
grandi piattaforme (e penso soprattutto a Facebook con il suo miliardo e 700
milioni di utenti) non decidano di puntare decisamente sulle transazioni in
bitcoin.