Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI, concede in
esclusiva al Salone dei Pagamenti un’intervista per parlare di start-up,
Fintech e innovazione. Sottolineando come il settore dei pagamenti sia la punta
più avanzata di quella crescita e vivacità che sta interessando il mondo delle
start-up del Fintech …

Di
Giovanni Medioli

Anna
Gervasoni, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese
all’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza e direttore del Master in
Private Equity, membro di numerosi Cda , da Borsa Italiana a Banca Generali,
senza dimenticare il Fondo Italiano di Investimento, è una delle figure
femminili di maggior spicco nel mondo finanziario italiano visto che da molti
anni è Direttore Generale di AIFI, l’associazione italiana degli operatori di
Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

In
altre parole AIFI è l’associazione che riunisce gli investitori privati e
pubblici che in Italia investono nel capitale di rischio delle imprese,
comprese quelle nascenti, le cosiddette start-up. Fino a qualche anno fa
venivano considerate le cenerentole di un mercato che sembrava dominato dalle
medie imprese familiari, oggi le start-up rappresentano la porta per
l’innovazione.

Partiamo
da una vostra recente iniziativa. Cos’è VentureUp?
AIFI
ha lanciato quest’anno un portale che si propone di mettere in contatto il mondo delle nuove idee imprenditoriali
con gli investitori professionali che possono aiutarle a crescere e a diventare
grandi, ovvero affrontare il passaggio alla dimensione aziendale vera, il
passaggio che fino ad oggi in Italia sembra essere sempre mancato al mondo
dell’innovazione. Innovazione non solo industriale ma anche finanziaria e nei
pagamenti.

Start-up
e pagamenti, un binomio sempre più stretto a cui il Salone di Pagamenti
dedicherà uno spazio importante …
Non
c’è dubbio che uno dei settori dove l’evoluzione generata dalle start-up sta
dimostrando maggiore vivacità sia quello del Fintech, di cui il settore dei
pagamenti è forse la punta più avanzata. Non è un caso se molte delle nostre
maggiori gruppi  – mi vengono in mente Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banca Sella,
Generali, Allianz, ma potrebbero essercene altre – hanno creato veicoli
appositi per sostenere i loro investimenti nel settore.

Non
c’è il rischio che sia una moda?
Non
lo penso affatto. Si tratta di una tendenza che nel prossimo futuro definirà le
competenze e la capacità competitiva dei protagonisti del settore finanziario,
banche e assicurazioni. In maggio ho partecipato a Londra a una riunione
sull’evoluzione del mercato finanziario dove ci hanno distribuito subito uno
studio di 50 pagine su quello che succede in campo Fintech. Nell’arco di pochi
anni l’intero mondo dei servizi finanziari, compresi quelli di pagamento,
potrebbe risultarne completamente trasformato. Per questo ritengo che per
banche e assicurazioni il fatto di avere veicoli appositi sia certamente una
politica vincente, sia che lo scopo sia quello di finanziare start-up con
operazioni di venture capital sostenendone lo sviluppo, sia che si tratti di
acquistare direttamente i migliori brevetti disponibili sul mercato.

Che
posizione occupano le start-up Fintech nell’attrazione di capitali sulle nuove
imprese in Italia?
Secondo il nostro osservatorio
sono al quarto posto, numericamente, dopo il medicale, l’information
technology, che fino a qualche anno fa era dominante, e dei servizi non
finanziari. Sorprendentemente, anche prima di altri settori come biotecnologie,
nanotecnologie o robotica. Ci sono molti preconcetti da sfatare quando si parla
di start-up. Con l’operazione VentureUp stiamo tentando una grande opera di
educazione finanziaria verso questo mondo che fino ad oggi ha navigato con
entusiasmo ma spesso con poca coordinazione.

Come vanno “educate” le
start-up italiane?

Il primo passo che facciamo
verso gli startupper è di insegnare loro a fare un business plan che li renda più
“desiderabili” per gli investitori. Il secondo è cercare di capire con loro
qual è la fonte finanziaria più corretta a cui cercare di accedere, dai
contributi pubblici, all’angel investing  al crowdfunding, per arrivare al
venture capital. Inoltre stiamo incontrando gli oltre 100 incubatori e
acceleratori (molti dei quali di matrice universitaria) che ci sono in Italia.
Puntiamo ad aggregare iniziative, magari eccellenti, che fino a oggi sono
andate avanti in maniera parallela senza incontrarsi: ci siamo resi conto che
esistono realtà che possono integrarsi bene. Semplicemente non si erano mai
parlate, così come non avevano mai avuto l’occasione di incontrare i nostri
investitori.

L’innovazione quindi passa
dal gioco di squadra…

Abbiamo capito che l’innovazione
non potrà avere successo in Italia se non diventiamo capaci di fare rete, di
strutturare punti di aggregazione e dialogo come vuole essere il nostro
portale. Troppo spesso ci sono progetti che vanno avanti senza sapere l’uno
dell’altro. Anche per questo stiamo già lavorando a un’iniziativa comune con #Italyfrontiers il portale per le start-up innovative lanciato dal sistema delle Camere di
Commercio con il sostegno del Mise. E abbiamo lanciato una newsletter
quotidiana gratuita, Private Capital Today, per informare e aggiornare sulle
attività del mondo degli investimenti nel capitale di rischio. AIFI e PwC,
ideatori dell’iniziativa, vogliono far conoscere la vita di un fondo di private
equity e di private debt: raccolta, investimento, chiusura di un’operazione e
disinvestimento sono le fasi di vita principali di un investitore e su ognuna
di esse c’è una storia da raccontare. Private Capital Today seguirà anche i
 soggetti che lavorano accanto a un fondo: advisor, studi legali e di
commercialisti, soggetti della filiera. Credo ci sia, finalmente, la
possibilità di fare un grosso passo avanti.